martedì 25 gennaio 2011

Formaggio e burro: antichi cibi dei Celti Cisalpini

I formaggi dei Celti della Cisalpina nelle fonti antiche e nella linguistica
Già nelle descrizioni d’età romana è facile riconoscere i formaggi che costituiscono gli “antenati” delle nostre tome d’alpeggio e fontine.
Nell’Historia Augusta (Ant. Pius, XII,4) si parla di una famiglia di formaggi nelle Alpi occidentali definita genericamente alpinus. E’ facile comprendere come una vera stella di questo gruppo il rinomato vatusicus (da *Vatusio toponimo, probabilmente in Val d’Isère), una fontina o una gruyère prodotto nelle Alpi Cozie intorno al territorio dei Ceutrones (Galen De Alim. facult III 16, 3 ; Plin N. H. XI 97). Si può dunque interpretarlo come un formaggio stagionato d’alpeggio a prevalenza di latte vaccino, di buona conservazione, originalmente cagliato con l’ausilio d’erbe montane aromatiche, secondo una tecnica tipicamente celto-ligure (per es. l’erba detta nel Piemonte nord-orientale bettolina o mattolina, che dà il sapore al bettelmatt). Il termine celtico alpino per questo formaggio d’alpeggio è probabilmente ricostruibile con l’aggettivo *bit[t]u (“durevole”), da cui derivano la denominazione attuale il bitto valtellinese, il Bettelmatt (“alpeggio del bettel” con una resa germanica/walser dell’originale termine celtico) ossolano-ticinese, il beddo biellese: lo stesso termine in celtico ha anche il significato di “mondo” ed è ancora oggi curioso pensare alla terra nell’immaginario degli antichi con l’aspetto di una grande forma di formaggio, leggermente convessa. In generale questa produzione di formaggi di pregio ha dato origine alle fontine, alla groviera, alle tome, al Maccagno, al Castelmagno.
E’ probabilmente nel corso dell’età del Ferro che si escogita la tecnica per rendere conservabile lo stracchino, altrimenti destinato a deteriorarsi in poco tempo. Con l’aggiunta di poco latte di pecora e della muffa raschiata dal pane di segale (e la segale fin dall’età del Bronzo era tipica del Piemonte occidentale) si ottiene l’effetto di asciugarlo della parte acquosa, di aumentarne l’apporto proteico (grazie agli elementi vivi delle muffe) e di evitarne l’aggressione da parte di altri bacilli o saccaromiceti. Si spiega così l’atteggiamento delle fonti latine (Colum XII 59; Plin N. H. XI 97) verso un formaggio definito generalmente gallicus, cioè delle Gallie (Cisalpina e Transalpina) ed evidentemente tipico della casearia celtica: Plinio in particolare dice che “il formaggio delle Gallie ha il sapore e la forza di una medicina”. Il Gallicus rappresenta per molte caratteristiche il capostipite dei formaggi erborinati (dal lombardo erborin, “prezzemolo”) e ne spiega la distribuzione ancora attuale in Europa Occidentale. Richiama dunque il Murianengo o Blu del Moncenisio (fatto originariamente con una quota di latte ovino, mentre oggi il Moncenisio è solo di latte vaccino) ed il Roquefort (a prevalenza di latte ovino), ma anche e direttamente il Gorgonzola. Quest’ultimo nel Novarese era detto tradizionalmente fino ad oggi chèga, con un richiamo al celtico *cagios (“di stalla, di recinto”) con una continuità non attestata altrove del nome celtico). Le più antiche fonti medievali per il formaggio tipo gorgonzola è Eginardo (770-840) che nell’830 menziona l’imbarazzo di Carlo Magno davanti ad una fetta di Roquefort (prime fonti dirette su questo formaggio nel 1070). Nel testamento di Ansperto a Milano dell’879 è citato un caseus maculatus tradizionalmente ritenuto Gorgonzola; nel 1007 un caseus donato alla Scuola di Sant’Ambrogio è probabilmente simile.
Importante notare che le fonti greche e latine collegano ai Celti la realizzazione di un burro solido e compatto per conservare nel tempo le parti più grasse del latte: fin dall’età del Bronzo frollini in legno a più rebbi radiali sono probabilmente collegati ad una attività di questo tipo ma è probabilmente con l’età del Ferro che il collegamento ad un recipiente in legno stretto e lungo (zangola) consente più agevolmente di ottenere in poco tempo una forte concentrazione delle parti grasse della panna, cioè il burro come noi lo conosciamo.

1 commento: